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Sator Arepo...

il blog di stefano Dec 04, 2022

Quanto valgo io? Dipende dallo strumento di misura.

Diversi decenni fa mi fu proposto un “business” che non mi pareva onesto, e io lo rifiutai. A propormelo era un professore universitario, e il mio rifiuto lo indispettì, tanto che mi gridò in faccia che io non avrei mai “fatto fortuna” perché avevo “troppa paura di perdere l’anima.” La scena ebbe risvolti divertenti, essendosi svolta a Stoccolma, nel gabinetto del palazzo in cui si teneva un congresso mondiale, al cospetto di diversi scienziati (con e senza virgolette) occasionali frequentatori di quel luogo di decenza, molti dei quali ignari della ricchezza che impreziosisce la lingua italiana.

Insomma, la mia “anima” (se esiste un’entità chiamata anima) non è in vendita.

Quanto vale la mia immagine? A questa domanda non so rispondere perché quella parte di me non è mai stata oggetto di valutazione. Migliaia di personaggi pubblici prestano la propria faccia per fare pubblicità a questo o a quel prodotto, lo fanno in cambio di denaro, e nessuno ha mai avuto di che ridire.

Ora, ammettiamo che un’azienda ritenga che la mia faccia possa incrementare le sue vendite e io mi lasci mettere sotto contratto. Un Euro? Un milione? Di più? Non saprei né, del resto, m’interessa perdere tempo dedicandomi ad un’ipotesi che, fatta salva l’inconoscibilità del futuro, è a dir poco irreale.

Qualche mese fa accade che degli amici mi chiedano di mandare loro un messaggio video a proposito di un oggetto che loro producono e grazie al quale sbarcano il lunario in un contesto sociale sempre più difficile e impervio. Nessun problema per me, e questo per varie ragioni, la prima delle quali è che, nella totale latitanza di chi, istituzionalmente, dovrebbe occuparsi del benessere anche economico del Paese, non possiamo altro che ricorrere all’aiuto reciproco. Il secondo motivo è la curiosità che si lega alla frase antichissima e restata sempre misteriosa che viene riprodotta nell’oggetto.

Naturalmente, questi sono fatti miei, così come un fatto mio è il non aver ricevuto un centesimo in cambio, cosa che, come ovvio, riguarda solo me. Detto tra parentesi, non mi sarebbe mai sovvenuto di pretendere alcunché. Il sapere di essere stato utile è del tutto sufficiente.

In un mondo “normale”, tutto sarebbe finito lì. Ma, evidentemente, il mio concetto di normalità è sbagliato. Quello che è accaduto poi è che un manipolo d’infelici mi si è scagliato addosso, ricoprendomi d’infamie, a fronte di un fatto su cui non vedo a che titolo si possa obiettare. Quale sia l’accusa non è espresso e non è dato sapere: un’accusa genericamente misteriosa della cui esistenza un certo pubblico si riterrà più che soddisfatto. Del resto, il mondo forcaiolo è fatto così: comunque sia, crucifige!

Questi poveretti hanno regalato la loro esistenza all’obiettivo di fare il male. Non importa su quali basi, se mai esiste una base per fare il male, né su quali prove, né importa in cambio di quale vantaggio, vantaggio materiale, per misero che sia, che a volte arriva, ma solo per pochi, e, per di più, raramente.

Di costoro posso solo dire che mi fanno una pena profonda come mi fanno tutti gl’infelici, questi con l’aggravante dell’autolesionismo.

Nel caso particolare, questi poveretti rimediano in aggiunta anche una figura ben misera, ma, nella loro povertà culturale, intellettuale e, soprattutto, morale, troveranno di certo il modo di giustificarsi, magari attaccandomi di nuovo, sorretti e corroborati dall’applauso di altri condannati alla loro stessa infelicità.

È inevitabile: prima o poi si arriverà a dover tirare una riga per fare il conto. Non sarà bello accorgersi che potrebbe essere tardi.

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